Mentre noi tifosi amaranto
stavamo ricordando il nostro 5 maggio di due anni fa con foto e video, o
semplicemente riaprendo i ricordi che ognuno di noi ha di quel giorno speciale
e di quell'incredibile lieto fine, tu vivevi forse uno dei momenti più tristi
della tua vita. Lo abbiamo saputo di sera: io, personalmente, tramite il
commento di un amico di Facebook a un post che riguardava proprio quella
partita a Carrara. Il nostro 5 maggio era già stato un po’ macchiato dal
comunicato dei nostri calciatori, che chiedono al presidente La Cava garanzie sul
prossimo futuro che forse nessuno, a oggi, può dare loro, ma la notizia della
tua perdita ce lo ha proprio devastato, cancellando in un attimo i fotogrammi
di Cellini che la insacca, della vostra corsa liberatoria sotto il settore, di
noi tifosi che impazziamo, del sudore e delle lacrime. Sono incredibili, a
volte, gli incroci del destino: una data che sembra avvolta dalla magia si
trasforma improvvisamente in un momento di tristezza e di cordoglio. Siamo
sconvolti, rattristati, desolati.
Ma se c’è una cosa che ci hai
insegnato, caro Generale, è non mollare, non darsi mai per vinti, non farsi
sopraffare dalle avversità o dalla rassegnazione, non lasciarsi abbattere. In
quella maledetta stagione ci hai dato lezioni di vita ogni giorno, come un
padre che educa un figlio fino a farlo camminare con le proprie gambe,
sorreggendolo, motivandolo e anche sgridandolo, se serve: è memorabile quella
conferenza stampa dove dicesti che eravamo tutti colpevoli di aver fatto
entrare dei banditi nella nostra casa, ma che dovevamo farci valere e tenerci
stretta la nostra squadra e la nostra appartenenza e che avremmo fatto di tutto
per continuare a “sentire l'acqua sopra la testa, la neve sulla bocca, l'odore
dell'erba tagliata”.
Hai mostrato umiltà,
comprensione, competenza, ma anche una grinta e una determinazione incalcolabili.
Hai convinto un gruppo di calciatori allo sbando, non pagati e vessati da
promesse non mantenute a vestire i panni degli eroi, a mettere in campo,
incanalando ogni energia nella maniera giusta, tutta la rabbia e il senso di
ingiustizia che provavano fuori. Sei stato il protagonista di un’impresa, la “battaglia
totale”, su cui noi tifosi abbiamo scommesso mettendo soldi e passione, ma il
cui traguardo, almeno all'inizio, sembrava lontanissimo.
Ecco perché siamo sicuri che
caricherai te stesso e la tua famiglia sulle spalle e ripartirai, più forte di
prima. Noi non dimentichiamo la tua esultanza sotto il diluvio di Pisa, tuttora
una delle trasferte più belle che io ricordi. Non dimentichiamo quando
dichiarasti guerra a tutte le squadre che avremmo affrontato dall'inizio
dell’esercizio provvisorio in avanti: non erano semplici parole, facemmo
davvero la guerra a tutti. Ricordiamo Pontedera, quando doveva finire tutto, tu
a testa alta a salutarci. Ricordiamo le vittorie nei derby: Livorno, Siena,
Pisa, tutte sconfitte, una dopo l’altra. Eccola, l’appartenenza: ce l’hai
ridata tu, veneto ma più aretino di alcuni nostri concittadini, in quei mesi
tragici. Ricordo la festa indescrivibile nel piazzale dello stadio al ritorno
da Carrara e ricordo, per modo di dire, la festa in piazza Grande, quando,
ubriaco di gioia ma non solo, ti abbracciai e ti implorai di restare. Non sei
rimasto, ma questo non ha minimamente scalfito la stima e la gratitudine nei
tuoi confronti. Cosa si può dire a un uomo così: una persona di questo spessore
umano supererà anche questa, non può essere altrimenti, non c’è neanche bisogno
di dirlo.
L’unico bisogno, quasi fisico,
inderogabile, che sentivo è di dirti che Arezzo ti è vicina.
Un abbraccio, Generale
Luca Amorosi
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