martedì 29 ottobre 2019

Convalescenza

L'Arezzo torna alla vittoria, la terza di questo campionato, tutte tra le mura amiche e tutte con 2 gol di scarto.  I punti sono adesso 14, a due lunghezze ci sarebbero i playoff ma non è tempo di fare pensieri stupendi, non ancora. L'Arezzo che nelle ultime 4 gare ha messo insieme 6 punti e che nelle ultime 7 ha perso solo contro il Monza, infatti, più che una squadra in salute ha tutte le caratteristiche della squadra convalescente.


E comunque diciamolo, se da una parte non è giusto esaltarsi troppo per una vittoria contro la penultima in classifica e su questo siamo tutti d'accordo, d'altro canto non è neanche onesto abbattersi troppo per la posizione in classifica. Il ruolino di marcia dell'Arezzo ad oggi ci dice che abbiamo perso per strada quattro punti (due a Siena e due a Vercelli), che con quei quattro punti saremmo in zona playoff, e che casomai il problema degli uomini di Di Donato è il gioco che latita. L'Arezzo è sembrato mostrare un po' di solidità in più col 4-4-2, soprattutto nella copertura delle fasce, anche se in mezzo si balla ancora troppo e le occasioni da gol continuano ad arrivare col contagocce. Anche contro la Giana Erminio, infatti, il gol che ha sbloccato la partita è arrivato come un fulmine a ciel sereno.


(e noi lo abbiamo catturato coi nostri potenti mezzi)

Ovvio che contro una squadra dal tasso tecnico non eccelso, passare in vantaggio poi fa sì che la partita si metta meglio. Gli amaranto hanno chiuso la pratica segnando un gol per tempo, e - cosa ancor più importante, ed è per questo che abbiamo parlato di Arezzo "convalescente" - hanno mantenuto inviolata la porta di Pissardo per la seconda volta in 12 giornate, la prima tra le mura amiche. Borghini ha dimostrato di sapersela cavare nella veste di centrale nella difesa a 4, Belloni e Caso come esterni sono indubbiamente la nota lieta della squadra per la capacità di entrambi di creare gioco e saltare l'uomo. Si è visto poco gioco, è vero. Pochissimo. L'Arezzo però oggi come oggi è questo, un cantiere aperto con qualche giocatore di troppo in alcuni ruoli e qualche ruolo un po' scoperto. Per cui è anche controproducente dare un giudizio netto e definitivo a neanche un terzo del campionato. La sensazione è che il livello del campionato sia quantomeno bassino (eufemismo). Inoltre, la classifica è corta (ad oggi, siamo 4 punti sopra i playout e abbiamo i playoff ad appena 2 lunghezze): tutto può ancora succedere. Crederci non costa niente.

Tutti compatti dietro la squadra, come sempre

Abbiamo perso un sacco di tempo, e il tempo in campionato non è mai galantuomo. Ogni partita che passa è una partita in meno e diventa sempre più difficile recuperare eventuali passi falsi. Ma la squadra è uscita dallo stadio a fine partita tra gli applausi della Minghelli. Anche in questo caso, se non si può parlare di pace, parleremo almeno di armistizio. A Di Donato e ai suoi raccontarci il resto della storia. Delle prossime quattro partite, tre saranno contro squadre che oggi sono in zona play-off, a cominciare dal Pontedera, attualmente al secondo posto in classifica insieme al Renate e alla Carrarese: al termine di questo periodo, probabilmente, sapremo se l'Arezzo avrà risolto almeno in parte le proprie fragilità, e in definitiva, che tipo di campionato potrà ambire a fare.

sabato 26 ottobre 2019

#StayDiDo o #DiDoOut?


Passano le domeniche e ti rendi improvvisamente conto che siamo quasi già a un terzo di stagione. Quella di domani è la dodicesima giornata, vi rendete conto? Abbiamo oltrepassato stancamente la prima metà del girone d’andata tra delusioni, tante, e pochissimi momenti di gioia, diciamo più sospiri di sollievo in mezzo a una prolungata apnea. E ogni giornata che passa, si rinnova il dilemma: Di Donato va tenuto o esonerato? Io, avvolto nella più profonda indecisione, mi mordo le unghie da settimane, rimugino, ci penso e ci ripenso ma alla fine l’unica cosa che mi sento di fare è buttare giù i pro e i contro di un suo eventuale allontanamento.




Parto dai contro, perché mi sento di fare una premessa: se in quella panchina ci fosse stato un qualsiasi allenatore senza un passato ad Arezzo, senza dei trascorsi in amaranto, senza i ricordi tutto sommato buoni che ha lasciato, forse sarei uno di quelli che chiederebbe a gran voce l’esonero.
Invece non è così e il primo “contro” è di questo genere: al timone c’è Daniele Di Donato e sarebbe un peccato se finisse male. È vero, nel calcio, a torto o a ragione, non c’è spazio per riconoscenza o sentimentalismi, però lui me lo ricordo quando quella maglia la vestiva, onorandola e sudandola metro dopo metro, dandole lustro con il suo lavoro magari oscuro ma essenziale a centrocampo, dove forse ancora oggi farebbe più comodo di qualcuno che la maglia amaranto se la mette, proprio lì dove l’Arezzo è più in difficoltà. Mi piace credere che questa storia avrà, se non un lieto fine perché la stagione pare ormai destinata a essere sotto le aspettative, quanto meno un crescendo.
Il secondo “contro” riguarda un discorso più generalizzato che mi porta a pensare che non sia esattamente il primo responsabile. Che ci stia mettendo del suo, ok, ma che alla base ci sia una rosa male assortita, squilibrata in avanti, con troppe scommesse, tra giovani acerbi e giocatori reduci da annate sottotono o da infortuni più o meno gravi. E non mi si venga a dire che i giocatori li ha voluti Di Donato: Pieroni è un volpone e soprattutto è un decisionista, ha privilegiato probabilmente aspetti economici ed extra-campo portando alla corte del Cavallino ciò che lui ha ritenuto più idoneo alle casse della società prima ancora che alle idee di gioco. Ci sta, ma allora non aspettiamoci che dalle querce nascano limoni.
Strettamente collegato al punto precedente, quindi, cosa aspettarsi da un cambio di allenatore? Chi viene, quali idee diverse potrà apportare? La squadra sembra poter giocare solo con un 4-4-2 con due esterni offensivi, vista l’abbondanza davanti e la penuria di qualità in mezzo. Quando Di Donato ha cambiato, più per emergenza che per convinzione, sono stati più i segnali negativi che quelli positivi.
Il quarto e ultimo punto a sfavore è molto semplice: il Presidente, che già ha dovuto presentare una fideiussione aggiuntiva a copertura di un budget superiore al limite prefissato, dovrebbe accollarsi lo stipendio di un nuovo mister. Conviene davvero?


Veniamo ora ai “pro”. Il primo è sicuramente la necessità di una scossa: si dice che cambiare allenatore dia sempre, almeno nell'immediato, dei risultati tangibili e degli stimoli in più nei giocatori. E questo Arezzo da encefalogramma piatto avrebbe proprio bisogno di una defibrillata.
Servirebbe, anche e soprattutto, per responsabilizzare i giocatori: non che tuttora siano esenti da critiche, però la tendenza a riassumere tutto sotto la voce “allenatore inadeguato” c’è e c’è sempre stata. Esonerare Di Donato significherebbe togliere loro l’ultimo alibi rimasto. A quel punto o corrono in campo o corrono dopo. Sono stato troppo chiaro?
Prima parlavo di responsabilità: il mister non è l’unico responsabile, ma di colpe ne ha anche lui. Paga probabilmente l’inesperienza tra i professionisti, ma la sensazione è che si sia incartato quasi subito, abbandonando la sua idea e cambiando modulo per cercare certezze e trovando invece ancor più dubbi. Il gioco latita, a volte gli undici in campo sembra che non sappiano cosa fare col pallone tra i piedi e le occasioni da gol si contano sulle dita di una mano… Si nota, infine, una certa testardaggine nel non utilizzare alcuni giocatori (penso a Caso, mai titolare se non a Vercelli), o a utilizzarne quasi forzatamente degli altri che non stanno dando un contributo sufficiente (Volpicelli, Piu, Baldan su tutti). Ordini dall'alto o farina del suo sacco?
Ultimo ma solo per flusso di pensieri, il capitolo Gori. Il biondo irrita per lo scarso contributo che fornisce alla squadra nell'arco dei novanta minuti, ma quando gli capita l’occasione, la butta dentro. Forse un altro mister potrebbe riuscire a sviluppare un sistema di gioco che ne esalti le caratteristiche e lo metta al centro del villaggio. Ci servono i suoi gol e dobbiamo metterlo nelle condizioni di farli, a qualsiasi costo.
Comunque la vediate, domani uniamoci sotto un solo grido: “Noi vogliamo questa vittoria”.

mercoledì 23 ottobre 2019

La politica dei piccoli passi

Ci avrete fatto caso (spero) sia ai tempi di Amaranto Magazine che adesso. Per scelta e inclinazione personale, preferisco sempre lasciar passare un po' di tempo prima di commentare una partita, un po' perché se commentassi "a botta calda" magari rischierei di tralasciare la metà delle cose, un po' perché alla fine è giusto lasciare sedimentare quello che si è percepito durante la partita per avere una visuale più nitida di quello che è importante. Fatta questa necessaria premessa, la partita con l'Alessandria ci ha lasciato segnali negativi e segnali positivi.
Cominciamo dai segnali positivi, così ci togliamo subito il pensiero: per la prima volta quest'anno, l'Arezzo è andato in svantaggio e non ha perso. 
Fine dei segnali positivi. 

Il tifo della Minghelli non lo mettiamo tra i segnali positivi solo perché non attiene al campo, ecco.

I segnali negativi sono purtroppo molteplici, invece. Siamo alla decima di campionato e l'Arezzo continua con la sua asfittica media di un gol e un punto a partita. Ma ancor peggio di questo, gli amaranto sono una squadra che è ancora alla disperata ricerca di un'identità di gioco. In novanta minuti più recupero contro i grigi piemontesi (apro una parentesi: il fatto che questi siano la terza forza del girone ci fa capire come, a parte il Monza che farà un campionato per conto proprio, il livello tecnico non sia proprio eccelso) l'Arezzo ha trovato il gol grazie ad un pezzo di bravura di Gori, ha reclamato, neanche troppo convintamente, per un rigore non dato, e non crediamo di fare un torto a nessuno se diciamo che è tutto qui. 
Certo, Belloni rientrante dall'infortunio non aveva i 90 minuti nelle gambe, certo, il pari subito a tempo abbondantemente scaduto a Siena aveva lasciato strascichi più psicologici che altro, tutto quello che volete: sta di fatto che quando un giocatore dei nostri riceve palla sulla trequarti, spesso si ferma e si guarda intorno perché non sono ancora scattati quegli automatismi che diventano importanti a qualsiasi livello si giochi a calcio. Eppure siamo costretti a tornare su un punto, come commentavamo anche per messaggio con il mio vicino di posto in curva: il livello tecnico del campionato e la classifica corta fanno pensare che ancora oggi non sarebbe chimerico pensare addirittura ai playoff, con i dovuti correttivi. Anche se onestà impone che più che voli pindarici l'Arezzo oggi debba guardarsi più alle spalle che altro. Sono solo cinque le squadre che seguono il Cavallo Rampante in classifica, il che significa che se il campionato fosse finito domenica l'Arezzo si sarebbe salvato per un punto. C'è poco da stare tranquilli, insomma. A cominciare da stasera: la Pro Vercelli ha solo due punti in più rispetto all'Arezzo (ma con una partita in meno), ha la terza miglior difesa (dopo Renate e Monza) e il terzo peggior attacco (davanti solo a Lecco e Pergolettese). Le ultime esibizioni casalinghe dei sette volte campioni d'Italia parlano di una sconfitta per 2-1 subita dal Gozzano e di uno scialbo 0.0 contro la Pergolettese, unica squadra finora a non avere mai vinto neanche una partita in tutto il girone. In mezzo, la Pro si è portata a casa il derby col Novara vincendo per 1-0 al "Piola". Insomma, un avversario da prendere con le molle, ovvio, come ogni maledetta domenica (o mercoledì, o sabato, o lunedì, o quello che volete voi), ma l'Arezzo in primo luogo deve cominciare a ragionare su sé stesso, anziché limitarsi a dire che "contro l'Alessandria si sono visti dei progressi". Non è certo un segreto: la politica dei piccoli passi a volte paga, a volte no.

venerdì 18 ottobre 2019

Mondi paralleli: Arthur Fleck tifa Arezzo


“Put on a happy face”. Sì, “Joker” è uno di quei film che lasciano il segno, andate a vederlo, ma non è questo il punto - e soprattutto, non andate a vederlo sabato sera, perché sabato sera c’è da andare allo stadio a vedere e tifare l’Arezzo che affronta l’Alessandria. 



E allora anche noi tifosi, proprio come lui, dovremo indossare una faccia felice e fare un sorriso anche se (calcisticamente, s’intende) felici non lo siamo per niente. Anche il finale del derby di domenica scorsa, infatti, è qualcosa che lascia (ancora una volta) il segno, un’altra beffa e un’ulteriore batosta in pieno stile Arthur Fleck. “Sono soltanto negativi i miei pensieri”, verrebbe da dire, come il protagonista, quando si parla del cavallino rampante quest’anno, specialmente in fase di avvicinamento agli ultimi minuti di gara, che ormai da un pezzo ci sono fatali. Il gol desolante preso a Grosseto, la rapina di Crema, la sconfitta in rimonta contro la Juve B, la sconfitta casalinga con l’Albinoleffe con il solito gol dell’ex, l’umiliazione col Monza e quest’ultimo spiacevole scherzetto nel derby. Roba che farebbe piombare Joaquin Phoenix in uno dei suoi attacchi di riso isterico, anche se noi non ci vogliamo ancora arrendere alla logica del caos e dell’autodistruzione. Qualche motivo per sorridere davvero, infatti, c’è e non è tutto così cupo come nel film di Todd Phillips, perché a Siena gli amaranto hanno comunque dato prova di essere presenti in campo con il corpo e con la mente, di saper battagliare e tenere botta. Ora, la partita di domani dovrà prima di tutto confermare che il tracollo contro i brianzoli è definitivamente alle spalle e ce lo siamo levati prima di tutto dalla testa, ma al tempo stesso che non è stato rimpiazzato dal morbo della rimonta subita domenica all’ultimo tuffo, quando in un ipotetico mondo parallelo dove l’amaranto nutre di maggior fortuna dovevamo già essere festanti in cima a quella maledetta rampa di scale del Franchi (sei minuti di recupero, ma per piacere…)

Sensazioni che più contrastanti non si può

Possiamo ancora risalire la china, insomma, a partire da domani, andandoci a riprendere quello che ci siamo tolti da soli o ci è stato tolto dagli altri. Possiamo recuperare l’entusiasmo perso con una vittoria e tre punti che farebbero bene anche a una classifica che ci piace davvero poco. L’Alessandria è una bella squadra che ha iniziato forte, ma il nostro Arezzo deve mettersi in testa che può giocarsela con tutte; che non è più forte di nessuno, ma che può vincere con chiunque. Bisogna stare bene in campo e avere compattezza prima di tutto, poi bisogna cercare di aumentare la pericolosità offensiva, perché anche in casa dei bianconeri abbiamo sì concesso pochissimo, ma anche là davanti abbiamo combinato poco o nulla in fin dei conti, il che per una squadra che in rosa ha una dozzina di giocatori offensivi è un paradosso. È che il mister ha trovato qualche certezza snaturando il suo credo e l’idea su cui si è basata tutta l’estate tra mercato e preparazione: giusto o sbagliato che sia, per ora sembra che si vada avanti e così, l’allenatore è lui e quelli che vanno in campo sono gli amaranto, è l’Arezzo, è la squadra che amiamo, quindi speriamo che abbia ragione DiDo e che inizi ad arrivare una serie di risultati utili che ci faccia rialzare la testa, a partire da domani sera. Noi, dal canto (ops…) nostro, indossiamo una faccia felice, e magari anche una bella sciarpa, o qualsiasi altra cosa amaranto a ricordare e ricordarci che non è tutto nero, ma che finché quel colore lì scenderà in campo, ci sarà vita, ci sarà luce, ci sarà speranza. “Tifosi dell’Arezzo cantate perché, in campo c’è la squadra più forte che c’è!”