venerdì 8 maggio 2020

Lettera a Massimo Pavanel

Caro Massimo,
Mentre noi tifosi amaranto stavamo ricordando il nostro 5 maggio di due anni fa con foto e video, o semplicemente riaprendo i ricordi che ognuno di noi ha di quel giorno speciale e di quell'incredibile lieto fine, tu vivevi forse uno dei momenti più tristi della tua vita. Lo abbiamo saputo di sera: io, personalmente, tramite il commento di un amico di Facebook a un post che riguardava proprio quella partita a Carrara. Il nostro 5 maggio era già stato un po’ macchiato dal comunicato dei nostri calciatori, che chiedono al presidente La Cava garanzie sul prossimo futuro che forse nessuno, a oggi, può dare loro, ma la notizia della tua perdita ce lo ha proprio devastato, cancellando in un attimo i fotogrammi di Cellini che la insacca, della vostra corsa liberatoria sotto il settore, di noi tifosi che impazziamo, del sudore e delle lacrime. Sono incredibili, a volte, gli incroci del destino: una data che sembra avvolta dalla magia si trasforma improvvisamente in un momento di tristezza e di cordoglio. Siamo sconvolti, rattristati, desolati.

Ma se c’è una cosa che ci hai insegnato, caro Generale, è non mollare, non darsi mai per vinti, non farsi sopraffare dalle avversità o dalla rassegnazione, non lasciarsi abbattere. In quella maledetta stagione ci hai dato lezioni di vita ogni giorno, come un padre che educa un figlio fino a farlo camminare con le proprie gambe, sorreggendolo, motivandolo e anche sgridandolo, se serve: è memorabile quella conferenza stampa dove dicesti che eravamo tutti colpevoli di aver fatto entrare dei banditi nella nostra casa, ma che dovevamo farci valere e tenerci stretta la nostra squadra e la nostra appartenenza e che avremmo fatto di tutto per continuare a “sentire l'acqua sopra la testa, la neve sulla bocca, l'odore dell'erba tagliata”.


Hai mostrato umiltà, comprensione, competenza, ma anche una grinta e una determinazione incalcolabili. Hai convinto un gruppo di calciatori allo sbando, non pagati e vessati da promesse non mantenute a vestire i panni degli eroi, a mettere in campo, incanalando ogni energia nella maniera giusta, tutta la rabbia e il senso di ingiustizia che provavano fuori. Sei stato il protagonista di un’impresa, la “battaglia totale”, su cui noi tifosi abbiamo scommesso mettendo soldi e passione, ma il cui traguardo, almeno all'inizio, sembrava lontanissimo.
Ecco perché siamo sicuri che caricherai te stesso e la tua famiglia sulle spalle e ripartirai, più forte di prima. Noi non dimentichiamo la tua esultanza sotto il diluvio di Pisa, tuttora una delle trasferte più belle che io ricordi. Non dimentichiamo quando dichiarasti guerra a tutte le squadre che avremmo affrontato dall'inizio dell’esercizio provvisorio in avanti: non erano semplici parole, facemmo davvero la guerra a tutti. Ricordiamo Pontedera, quando doveva finire tutto, tu a testa alta a salutarci. Ricordiamo le vittorie nei derby: Livorno, Siena, Pisa, tutte sconfitte, una dopo l’altra. Eccola, l’appartenenza: ce l’hai ridata tu, veneto ma più aretino di alcuni nostri concittadini, in quei mesi tragici. Ricordo la festa indescrivibile nel piazzale dello stadio al ritorno da Carrara e ricordo, per modo di dire, la festa in piazza Grande, quando, ubriaco di gioia ma non solo, ti abbracciai e ti implorai di restare. Non sei rimasto, ma questo non ha minimamente scalfito la stima e la gratitudine nei tuoi confronti. Cosa si può dire a un uomo così: una persona di questo spessore umano supererà anche questa, non può essere altrimenti, non c’è neanche bisogno di dirlo.



L’unico bisogno, quasi fisico, inderogabile, che sentivo è di dirti che Arezzo ti è vicina.
Un abbraccio, Generale

Luca Amorosi